Il
diabete mellito gestazionale (GDM) si manifesta nel 5-7% delle gravidanze come un'intolleranza ai carboidrati di grado variabile, in grado di causare importanti complicanze a carico della gestante e del nascituro. Da tempo si ipotizza una connessione fisiopatologica tra il diabete gestazionale e il
diabete tipo 2: i fattori di rischio sono simili, e meccanismi condivisi produrrebbero le alterazioni del metabolismo energetico. Non è infrequente che un diabete insorto in gravidanza e scomparso dopo il parto si ripresenti a distanza di tempo come diabete tipo 2.
Lo stato fisiologico della gravidanza impone uno stress metabolico che può slatentizzare una sottostante condizione di insulinoresistenza. Nel periodo della gestazione compare un'intolleranza ai carboidrati, associata a complicanze ostetriche e pediatriche a cui può seguire, nella vita futura, un aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari. L'evidente legame, di tipo fisiopatologico e clinico, tra diabete gestazionale e diabete tipo 2, ha fatto sì che molti autori considerino il primo una forma precoce del secondo, e tale continuità si manifesta anche nella connessione con i problemi cardiovascolari.
Un esercito di infermiere in gravidanza
Uno sguardo ampio sull'incidenza di patologie cardiovascolari in donne con storia di diabete gestazionale
Nel 2011 l’
American Heart Association ha inserito il diabete gestazionale nella lista dei
fattori di rischio cardiovascolare nelle donne, in base alla sua evidente associazione con il diabete tipo 2 e altri importanti fattori come l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, la disfunzione endoteliale e l’aterosclerosi. Per consolidare questa interpretazione e provare a quantificare in numeri l’entità del rischio si rende necessario monitorare un vasto gruppo di donne in anni successivi alla gravidanza. Diventa in tal modo possibile verificare nel lungo termine la reale incidenza di malattie cardiovascolari come infarto e ictus nelle pazienti con anamnesi di diabete gestazionale e paragonarla a quella riscontrata in donne in cui questa patologia non è presente nella personale storia clinica. Il metodo è esattamente quello scelto per interpretare la vasta base di dati estratti dall'
Harvard Nurses' Health Study II, uno studio prospettico in larga scala, in cui infermiere statunitensi sono state arruolate sin dal 1989, con un follow-up tuttora in corso. In questo modo è stato possibile rinforzare gli indizi, di cui si era già in possesso, di un legame tra diabete in gravidanza e rischio cardiovascolare, corroborandoli con le prove di un’osservazione prospettica di lungo corso.
Il vasto campione statistico ha rappresentato una preziosa sorgente di informazioni sulla quale progettare studi specifici come quello pubblicato recentemente su
Jama Internal Medicine. In questa ricerca clinica una coorte di 89.479 donne, incluse per aver avuto almeno 1 gravidanza intercorsa nel periodo di osservazione scelto, sono state monitorate per più di 20 anni, registrando tramite questionari biennali i dati antropometrici, lo stile di vita e le malattie sviluppate nel tempo, con particolare attenzione a eventi cardiovascolari come infarto miocardico e ictus cerebrale. Tutte le donne arruolate nello studio, di età iniziale compresa tra 24 e 44 anni, non erano in principio affette da diabete tipo 2, malattie cardiovascolari o tumorali, partendo quindi da una condizione ideale ai fini dell'affidabilità delle successive valutazioni statistiche e cliniche.
Nel lungo follow up di questo consistente gruppo si sono registrati 5300 casi di diabete gestazionale (6% circa delle gravidanze). Confrontando la storia clinica di questi casi con quella di donne in cui il GDM non si è manifestato, si è riscontrato negli anni successivi un aumento relativo del rischio di sviluppare malattie come infarto o ictus. Detto in numeri, il diabete gestazionale condizionava un rischio cardiovascolare maggiore del 60% rispetto a quanto rilevato in donne senza una storia di GDM; i casi in cui il legame era più stretto erano quelli in cui il diabete gestazionale
si era ripresentato nel tempo come diabete tipo 2, un risultato in qualche modo atteso in base alle considerazioni fatte in precedenza circa la fisiopatologia comune alle due forme, che si troverebbero in un continuum legato alla gravità dei meccanismi patogenetici in essere.
Stile di vita sano come valida difesa
Un altro aspetto clinico importante è emerso da alcune differenze rilevate all'interno del gruppo di gestanti in cui il diabete si era manifestato
solo in gravidanza: le donne che hanno adottato uno
stile di vita sano, mantenendo un peso corporeo adeguato, facendo regolare attività fisica, astenendosi dal fumo di tabacco e seguendo una dieta sana dal punto di vista cardiologico e metabolico, non hanno fatto registrare un significativo aumento del rischio cardiovascolare. L'esatto contrario è avvenuto in chi non ha osservato uno stile di vita adeguato o l'ha fatto in modo incompleto, non intervenendo quindi su tutti i fattori sopra elencati: si è riscontrato in questi casi un incremento significativo del rischio di malattia cardiovascolare negli anni successivi alla gravidanza, anche in assenza della recidiva di malattia come diabete tipo 2.
Fig. 1 - Follow up del diabete gestazionale (Harvard Nurses' Health Study II) - Il rischio vascolare è più elevato nelle pazienti che sviluppano il diabete tipo 2. Nel gruppo in cui non si è ripresentato il diabete e che ha praticato uno stile di vita sano (peso corporeo adeguato, attività fisica, alimentazione equilibrata, astinenza dal fumo) il rischio è risultato non significativo.
Interrompere il link tra diabete gestazionale e patologie cardiovascolari
I risultati di questo tipo di studi, sommati a recenti osservazioni relative al dibatito sulle raccomandazioni diagnostiche in diabetologia ostetrica, invitano ad alcune considerazioni.
La prima riguarda le indicazioni per lo
screening del diabete gestazionale tramite
OGTT (
test orale di tolleranza al glucosio). Autori afferenti a importanti enti diabetologici stanno riconsiderando attentamente la possibilità di tornare a estendere lo screening OGTT in gravidanza a tutte le gestanti, non più ristretto quindi ai casi con fattori di rischio evidenti. Lo scopo è quello di identificare quella percentuale di donne, circa il 7%, che pur risultando, in base alle attuali indicazioni,
a basso rischio, avrebbero allo screening una diagnosi di diabete gestazionale e potrebbero beneficiare grandemente delle modifiche allo stile di vita suggerite, da attuare sia in gravidanza sia negli anni successivi [vedi anche:
Screening del diabete gestazionale].
Nell’ambito della prevenzione cardiovascolare ci sono inoltre alcune evidenze, purtroppo non ancora conclusive, che una
lattazione fisiologica e una più lunga durata del periodo di allattamento al seno possano essere
fattori protettivi verso lo sviluppo successivo di diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari. Sotto indagine è anche il ruolo preventivo della
metformina ed altri agenti farmacologici.
Oltre lo screening OGTT, l'importanza del dialogo col medico
La seconda considerazione attiene al
follow-up negli anni successivi al diabete gestazionale. È importante che i medici raccolgano sempre un'adeguata anamnesi, sia tramite domande esplicite alle pazienti sia visionando con attenzione precedenti cartelle cliniche. Il fine è quello di dare il giusto rilievo ad eventuali casi di pregresso diabete in gravidanza, condizione che impone una particolare attenzione verso la sfera cardiovascolare delle pazienti, soprattutto in ambito di prevenzione della cardiopatia ischemica. Nelle donne con storia di GDM, inoltre, il rischio di persistenza o ricomparsa di uno stato di
alterata tolleranza ai carboidrati o di un franco
diabete tipo 2 vanno sempre tenuti in debita considerazione. È importante che le donne con una storia di diabete gestazionale vengano sottoposte al test OGTT a distanza di 6 settimane dal parto ed entro 6 mesi, continuando poi ogni 3 anni, abbreviando l’intervallo a 1 anno in caso di rilievo di alterata tolleranza al glucosio.
L’ultima considerazione riguarda l’aspetto del
counseling. I medici curanti, che accompagnano più da vicino le pazienti nella loro interazione col sistema sanitario, in presenza del dato anamnestico di diabete gestazionale avranno il compito di informare correttamente le donne, senza eccessivi allarmismi, soffermandosi in particolare sul maggior rischio cardiologico, legato con filo sottile a un problema del passato che potrebbe essere ormai percepito come distante o completamente risolto. Il fine utile è anche quello di spiegare bene alle loro pazienti la concreta possibilità di ridurre o azzerare questo rischio tramite modifiche allo stile di vita.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
RISORSE IMMAGINE
Fig. 1 - Filippo Tomassetti - ArduaNet Graphics
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